Cry Me a River of Crocodile Tears: Flavus Tiber
“[…] hunc inter fluvio Tiberinus amoeno verticibus rapidis et multa flavus harena in mare prorumpit […]” Virgilio
Cosa resta della mitologia del biondo Tevere, strettamente legata com’è alla nascita di Roma e agli oltre 2000 anni di storia, man mano che le sue acque diminuiscono stagione dopo stagione? I cambi epocali delle acque nel ventunesimo secolo parlano di uno sconvolgimento rivoluzionario che non si limita al sociale ma investe anche identità culturali, mitologiche e poetiche. Poiché le trasformazioni avvengono a una velocità maggiore, è necessario ripensare città, corsi d’acqua, fontane e fondazioni agricole. Non si tratta solo di sistemi ma anche di substrati culturali legati al cibo e al modus vivendi che hanno plasmato le credenze antropologiche ed esistenziali delle popolazioni preromane, ognuna con i suoi significati e le sue interpretazioni di cosa significhi essere “italici”. Le acque vengono delocalizzate e ridistribuite, con un sistematico sovrasfruttamento delle falde acquifere, mentre i letti di torrenti, ruscelli e fiumi vengono prosciugati. Mentre i corsi d’acqua capitolano sotto la pressione della scarsità, non c’è più un posto dove nascondere al sicuro Romolo e Remo lungo le rive del fiume Tevere. Siamo obbligati a reinventare il nostro futuro senz’acqua. Acqua che, anche se abbondante, è sempre più inquinata da PFA, piombo, cloro e nanoplastiche. Nelle società post-capitalistiche di sfruttamento delle risorse comuni, la definizione di acqua è concepita esclusivamente in termini economici liberali e come privatizzazione dell’esistenza pubblica attraverso la creazione e la gestione della scarsità. In Italia – e a Roma in particolare – queste forme occidentali di liberalismo si traducono e si sostanziano in conniventi strutture corporative che fondono armoniosamente e coesivamente mafie e politica. Il discorso esaminerà la cruda realtà dello stato italiano che ha abdicato al suo ruolo ed è diventato un esecutore dello sfruttamento aziendale dell’acqua e della futura necropolitica della sete.
Lanfranco Aceti è un artista, curatore e accademico che produce installazioni, progetti nello spazio pubblico, performance e mostre su temi come la giustizia sociale, la postdemocrazia, le migrazioni, la crisi climatica, le forme di resistenza e le ipotesi sociali matriarcali. Attualmente è direttore dell’Institute of Contemporary Arts di Singapore (ICAS), direttore e fondatore del Museum of Contemporary Cuts (MoCC) e redattore capo di Leoalmanac, pubblicato dalla MIT Press.