ALESSANDRO PETTI | VERSO UN ENTE DI DECOLONIZZAZIONE

Nel 1940, il regime fascista istituì l’“Ente di Colonizzazione del Latifondo siciliano” sul modello dell'”Ente di colonizzazione della Libia” e dell’architettura coloniale in Eritrea ed Etiopia. Questi territori erano considerati dal regime “vuoti”, “sottosviluppati” e “arretrati” e quindi bisognosi di essere “bonificati”, “modernizzati” e “ripopolati”. A questo scopo l’Ente di Colonizzazione inaugurò in Sicilia otto nuovi borghi rurali, e altrettanti rimasero incompiuti. Oggi la maggior parte di questi villaggi è caduta in rovina.Tuttavia, nonostante la caduta del fascismo dopo la Seconda guerra mondiale, la defascistizzazione dell’Italia rimane, purtroppo, un processo incompiuto. Questo è uno dei motivi per cui in Italia sono molte le architetture e i monumenti che celebrano il regime fascista. Inoltre, avendo perso le sue colonie durante la Seconda guerra mondiale, l’Italia non ha mai intrapreso un vero e proprio processo di decolonizzazione.Con il riemergere delle ideologie fasciste in Europa, diventa urgente chiedersi: che tipo di eredità è l’eredità fascista-coloniale/modernista? E chi ha il diritto di poterla riutilizzare? Questo patrimonio dovrebbe essere demolito o potrebbe essere riorientato verso altri fini?L’installazione artistica “Ente di Decolonizzazione – Borgo Rizza”, che è in mostra da maggio 2023 alla Biennale Architettura di Venezia e da giugno 2023 al Museo delle Civiltà di Roma, profana l’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, scomponendo e ricomponendo la facciata in sedute modulari. Negli ultimi due anni, l´Ente di Decolonizzazione è stato attivato a Napoli, Berlino e Bruxelles, e riutilizzato come piattaforma discorsiva in cui il pubblico è stato invitato a riconsiderare criticamente gli effetti sociali, politici ed economici dell’eredità fascista, coloniale e modernista, e allo stesso tempo immaginarne collettivamente nuovi usi comuni. Nei processi di colonizzazione e decolonizzazione, l’architettura gioca un ruolo cruciale nell’organizzazione delle relazioni spaziali e nell’espressione delle ideologie. E anche quando è abbandonata o in rovina, è ancora utilizzata come prova di rivendicazioni politiche e culturali.Non è possibile comprendere i flussi migratori o il fascismo contemporaneo, senza una conoscenza approfondita dell’eredità fascista-coloniale/modernista europea.

Alessandro Petti è professore di Architettura e Giustizia Sociale presso il Royal Institute of Art di Stoccolma dove dirige il programma di studi e ricerca DAAS (Decolonizing Architecture Advanced Studies) e co-direttore insieme a Sandi Hilal di DAAR (Decolonizing Architecture Art Residency), un ibrido tra uno studio di ricerca e una residenza artistica all´intersezione tra architettura, arte, pedagogia e politica. Una serie di libri hanno accompagnato la ricerca collettiva approfondendo aspetti teorici e pratici. Tra le ultime pubblicazioni: Refugee Heritage (Art and Theory, Stoccolma 2021), il libro-dossier che documenta la nomina UNESCO a patrimonio dell’umanità del campo profughi di Dheieheh in Palestina, il libro-catalogo Permanent Temporiness (Art and Theory, Stoccolma 2019) che racconta 15 anni di ricerca e sperimentazione dentro e contro il regime di permanente temporaneità´ e Architecture after Revolution (Sternberg Berlin 2013), un invito a ripensare le odierne lotte per la giustizia e l’uguaglianza non solo dalla prospettiva storica della rivoluzione ma anche da quella di una continua lotta per la decolonizzazione. In italiano ha pubblicato Arcipelaghi e Enclave (Bruno Mondadori 2007), un tentativo di leggere la dimensione territoriale e politica dell’occupazione israeliana come laboratorio, acceleratore e condizione limite della globalizzazione neoliberale e delle sue ricadute spaziali.Ha ricevuto diversi premi: Prince Pierre Foundation Prize, Keith Haring Fellowship in Art and Activism at Bard College, Loeb Fellowship Harvard University, Price Claus Prize for Architecture, selezionato per Visible Award, Curry Stone Design Prize, Vera List Center Prize della New School per Art and Politics, l’Anni and Heinrich Sussmann Artist Award, il Premio Chrnikov. La ricerca artistica di DAAR è stata in mostra alla Biennale di Venezia (2003, 2008, 2009, 2013, 2015, 2021, 2023), La loge Bruxelles (2023), Museo Madre (2022), Berlin Biennale (2022), Chicago Biennial (2019), Rabat Biennial (2019), Seoul Biennial (2019), Marrakesh Biennial (2016), Qalandia International (2016), Asian Art Biennial (2015),  São Paulo Biennial (2014), Home Works Beirut (2010), Istanbul Biennial (2009). Due recenti retrospettive dal lavoro di DAAR sono state inaugurate al Van Abbemuseum in Eindhoven e alla New York University Abu Dhabi Art Gallery. 

 

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